Separazione e perdita

Dott.ssa Anna Bernardi

Conchiglia con guscio rotto

La parola separazione nel linguaggio comune sta ad indicare una divisione, un allontanamento che fa seguito ad una unione.

Questa prima semplice definizione in genere evoca, contrariamente a quanto potrebbe avvenire per altre spiegazioni, situazioni, esperienze, emozioni.

Le immagini che vengono richiamate sono quelle della dissoluzione (di un legame) e del profondo senso di perdita che pervade quando ci si sente privati dell’oggetto amato. Questo perché il problema fondamentale di un essere umano è il rapporto con l’altro. Se si ama qualcuno si diventa vulnerabili ed esposti alla sofferenza di una possibile e talvolta inevitabile perdita.

Scrive Freud: “Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla sofferenza, mai come quando abbiamo perduto l’oggetto amato o il suo amore siamo così disperatamente infelici.”

 Nel modello pulsionale freudiano avviene, quando si subisce una perdita, un sofferto e progressivo inaridimento degli investimenti libidici di fronte al quale il mondo appare impoverito e svuotato.

La perdita dell’oggetto amato richiederebbe che tutta la libido sia ritirata da ciò che è connesso ad esso. E invece  sembra impossibile staccarsi da tutti i ricordi e i sentimenti  che connotavano ciò che non si ha più. In un primo momento avviene addirittura un sovrainvestimento di tutti gli aspetti legati all’oggetto. Poi pian piano, attraverso un processo lungo e doloroso, distaccando la libido dall’oggetto mancante, si può finalmente reinvestire l’energia psichica liberata.

Sempre restando in ambito psicoanalitico, secondo la  Klein, fin dai primi mesi di vita avvengono esperienze di perdita. Nella fase che viene denominata nel suo modello di sviluppo posizione depressiva, il bambino raggiunge la capacità di cogliere l’unità dell’oggetto e di riconoscere la madre come altro da sé. Ma collegata alla percezione di totalità sorge il senso di colpa per il fatto di amare e odiare lo stesso oggetto e di nutrire fantasie di distruzione. A questa posizione di ambivalenza e di colpa si aggiunge l’elemento fondamentale: la paura per la perdita dell’oggetto amato.

Nel corso della propria esistenza, l’angoscia depressiva potrebbe ripresentarsi di fronte ad ogni perdita perché vissuta come il risultato della propria distruttività che porta a percepire il mondo e la propria interiorità come vuoti e a sentirsi impotenti nel creare e proteggere le relazioni con gli altri.

Se inoltre  nell’ambivalenza di cui parla la Klein fra amore e odio, sentimenti che rivestono ogni legame d’affetto, l’aggressività si colloca in primo piano, ogni sforzo per distaccarsi dall’oggetto diviene ulteriormente complicato.

Integrando la visione psicoanalitica con dati di ricerca sviluppati in altri ambiti, in particolare l’etologia, Bowlby sviluppa la teoria dell’attaccamento studiando le radici del legame affettivo tra madre e bambino ed indagando sulle modalità di reazione a una perdita temporale o permanente. Secondo la sua teoria colui che subisce una perdita di una persona in grado di soddisfare il suo bisogno di attaccamento “si trova ad affrontare una condizione di crisi che mette in questione la sua stessa sopravvivenza e che rende necessario ridefinire le assunzioni che fa su di sé e sul mondo per affrontare un radicale cambiamento degli atteggiamenti e dell’identità, condizione, questa, irrinunciabile per riconoscere e definire nuovi legami“.

La perdita dunque associata al bisogno di appartenenza, calore, cura e sicurezza; come creazione di uno spazio interno, di ricerca di significati, di acquisizione di una nuova consapevolezza di sé.

Vetro rotto - Vediamo un vetro spaccato

E’ di fondamentale importanza riconoscere che lo sviluppo di ogni persona è costellato di perdite: da quella “originaria” dal grembo materno il quale permette al feto di vivere quello stato di elazione prenatale che l’uomo sembra continuamente ricercare nel corso della sua esistenza a tutte le altre perdite che si incontrano nel ciclo vitale, dall’infanzia alla vecchiaia.

Dato ormai consolidato nella letteratura è che il come si esperisce l’abbandono è riconducibile a modalità di relazione apprese con i genitori le quali risulteranno poi le basi che struttureranno i rapporti con l’altro. Le perdite nella prima infanzia sensibilizzano verso quelle che si incontreranno in seguito e si potranno affrontare soltanto attraverso un lungo lavoro di elaborazione, facendo ricorso a tutte le proprie risorse interiori.

Come afferma Judith Viorst “Analizzare la perdita significa accorgersi di quanto essa sia inestricabilmente legata alla crescita. E cominciare a rendersi conto di come le risposte alla perdita abbiano forgiato la nostra vita può essere l’inizio della saggezza e di un cambiamento ricco di promesse.”

Bibliografia

Bowlby J., Attaccamento e perdita Vol.3, Torino,  Bollati Boringhieri, 2000

Freud S., Il disagio della civiltà, Torino, Boringhieri, 1971

Freud S., Lutto e melanconia, Torino, Boringhieri, 1976

Klein M., Invidia e gratitudine, Firenze, Giuntii, 2012

Viorst J., Distacchi, Milano, Edizioni Sperling Paperback, 2004