Curare la depressione

Dott.ssa Anna Bernardi

Depressione nevrotica

Come si è sottolineato nella premessa quella depressiva non è una condizione omogenea. Si possono riscontrare delle forme lievi o moderate ed altre gravi e tutte interagiscono con una vulnerabilità individuale che ne marca la differenza.

Nella psicoterapia psicodinamica si pone grande attenzione a tale vulnerabilità focalizzando ciò che è unico e specifico in ogni persona, visione contrapposta a quella che considera i pazienti come appartenenti a un grande gruppo.

I pazienti che presentano una depressione con una fonte nevrotica traggono benefici da interventi psicoterapeutici. Curativo diventa il tutelare la persona nel suo bisogno di mantenere una relazione stabile con qualcuno e una autentica comunicazione.

Ciò che il depresso prova va compreso e accolto. Empatia e ascolto non giudicante sono fondamentali per creare il terreno ad operazioni inizialmente di sostegno e chiarificazione e poi a quelli di ricostruzione, di esplicazione e di interpretazione. Il processo di conoscenza del paziente si arricchirà dando una risposta a imprescindibili interrogativi.

Qual è il modo con cui la persona definisce la sua sofferenza? Di che natura sono gli eventi che scatenano la depressione? Rievocano perdite o traumi? Quali sentimenti, pensieri e fantasie che erano già presenti nella mente sono riattivati?

Le tematiche che vengono sovente alla luce nei quadri depressivi riguardano modelli relazionali e autostima. Gli altri vengono percepiti come iniqui, negligenti nei propri confronti, il mondo empio. Biasimo e delusione generano rabbia il più delle volte inespressa per non compromettere l’immagine di sé o per timore che la propria aggressività possa avere effetti negativi sulle persone amate.

Nel percorso terapeutico il paziente può arrivare alla scoperta di aver vissuto in funzione di un altro dominante che gli ha impedito di realizzarsi o di aver sperimentato impotenza, debolezza, solitudine e vulnerabilità.

Questa esplorazione richiede la collaborazione attiva del paziente alla propria cura.

Nel depresso, affinché si possano riattivare le proprie risorse interne, va richiesto esplicitamente da parte del terapeuta in specifici momenti di assumersi le responsabilità della propria condizione e di partecipare operosamente al processo psicologico di riflessione. Può accadere infatti che alcuni  pazienti particolarmente ancorati alle proprie resistenze pur possedendone la potenzialità si rifiutino di rapportarsi a se stessi e alla propria sofferenza in modo cooperativo. La condizione di “depresso” sembra essere l’unico modo conosciuto per essere nel mondo, per “funzionare”. È proprio in questi casi che una terapia potrebbe interrompersi o trovare nuove direzioni.

In questo punto della terapia entra in gioco più che mai la sensibilità dell’analista che attraverso un legame denso e rassicurante trasmette al paziente la fiducia che può permettere di allentare le difese usate per proteggersi da idee e consapevolezze dolorose.

Solo così si potrà aprire la strada per entrare nuovamente in contatto con se stessi e con le proprie esperienze di vita.

Depressione psicotica

Al polo estremo dei disturbi dell’umore si riscontrano depressioni gravi in cui si osservano modificazioni vegetative e somatiche intense, che hanno un elevato rischio di suicidio e che talora necessitano di ricoveri ospedalieri.

“La perdita di iniziativa dilaga in ogni depressione psicotica fino a trasformare alcuni pazienti in figure umane bloccate e irrigidite. La inibizione interessa anche le articolazioni del pensiero che si fanno lente e ripetitive, risucchiate nel vortice monotematico di colpe, di timori di malattia e di catastrofi”.(Borgna)

Il paziente è inchiodato alla propria inerzia, alla impossibilità di agire che gli impedisce di compiere ogni attività quotidiana per periodi sempre più lunghi.

L’approccio con la parola è lo strumento privilegiato di ogni psicoterapia, ma nella depressione psicotica si ha un equilibrio fortemente sconvolto che non permette di entrare in relazione con un’altra persona.

In questi casi la somministrazione di farmaci è indispensabile per attenuare i sintomi e compensarli quanto più possibile.

Il contenimento di aspetti disfunzionali dell’umore è però solo il primo passo. Nessun buon neuropsichiatra può trascurare la grande importanza della relazione psicoterapeutica come agente di cura. È necessario un approccio integrato nel pieno rispetto dei ruoli e della propria specificità. Certo un percorso terapeutico finalizzato a recuperare energie, coraggio all’interno di un paesaggio che viene percepito arido e in cui la dimensione temporale prevalente è quella del passato è impresa ardua.

Il paziente è così soffocato dalla  propria condizione tanto da non riuscire ad accedere ai propri contenuti interiori? Quale significato individuale riveste la depressione per quella determinata persona?

Interrogativi importanti.

Nell’affrontarli il terapeuta stesso potrebbe oscillare fra potenti fantasie di salvataggio e sentimenti di frustrazione, voglia di sbarazzarsi del paziente se esso appare impenetrabile a qualsiasi tentativo dialettico. Ma questi sono momenti da attraversare. L’effetto della comunicazione e dell’ascolto si radica nella maggior parte dei pazienti depressi come ben dimostra la ricerca scientifica.

Uscirne si può.

La stretta tenaglia della depressione pian piano si allenta. La paura più grande, quella di non farcela, può essere nominata e affrontata. Una terapia che sia prima di supporto e poi espressiva è il trattamento che permetterà attraverso la ritualità delle sedute e la rassicurazione la ripresa del flusso vitale.

È il viaggio a due che dal fondo doloroso di una amarezza sconsolata può far riemergere la dimensione della speranza e del futuro.